“Chi non l’ha mai bevuto un caffè in una buca nella terra,
di montagne e tempesta,non sa cos’è il caffè”
(Il pastore d’Islanda-
Gunnar Gunnarsson)
Appena ho visto questo libro sulla pagina della casa
editrice “Iperborea” ho pensato subito di comprarlo. Il titolo e la copertina
sembravano già molto eloquenti e ,data la mia passione per l’Europa del
Nord,sono corsa in libreria a acquistarlo. Il libro in questione è uscito il 4
Novembre 2016 per la casa editrice Iperborea ma questo racconto risale a
qualche anno fa.Viene infatti pubblicato nel 1936 in lingua danese (titolo
originale Advent) nonostante l’autore
Gunnar Gunnarsson fosse Islandese.Al tempo della sua adolescenza infatti l’Islanda
non era uno dei paesi più fiorenti nel campo letterario e Gunnarsson decise di
proseguire i suoi studi ad Askov,in Danimarca.I suoi racconti si collocano in
pieno Scandinavismo,movimento linguistico-letterario nato attorno agli anni ’30
del Novecento che riconosceva e focalizzava la propria attenzione sul passato
unitario di cultura,mitologia,lingua e storia nordiche.
Il “Pastore
d’Islanda” è narrato sullo sfondo delle imponenti montagne Islandesi, dell’aria
pungente dell’inverno e del deserto gelato che esso crea.Il protagonista è
Benedikt,un pastore sulla cinquantina che ormai da ventisette anni sceglie di
trascorre le festività natalizie sui monti alla ricerca delle pecore
smarrite,sfuggite ai raduni autunnali.Nessun uomo vuole accompagnarlo sia per i
rischi di questa missione sia perché Benedikt non è di certo l’uomo più solare
del mondo.Lì tra la neve e i ghiacci,Benedikt ha seppellito la paura della vita
e della morte e ha trovato il suo posto nel mondo.Si fa carico del proprio
compito e asseconda con serenità lo scopo della sua vita.Interpreta in questo
modo il cammino dell’Avvento.Solo il suo fedele cane Leò e il montone Roccia
intraprendono ogni anno con lui questo viaggio,caratterizzandolo con
comportamenti e gesti quasi umani.L’impressione che ho avuto è che i due
animali scindessero la personalità di Benedikt rappresentandola più chiaramente:
Leò è allegro,giocherellone,ottimista quasi ai limiti dell’innocenza; di contro
Roccia è razionale, fermo, quasi impassibile e solitario.
Nessuno dei
vari personaggi che costellano il racconto riesce a comprendere Benedikt fino
in fondo nonostante provino tutti un forte affetto per lui. Anzi, sembra quasi
che Benedikt scoraggi gli altri ad ogni domanda e sforzo di comprensione , si
astiene da ogni spiegazione e ricerca eccessiva di compagnia.
“Perché se viene
un uomo che deve radunare il suo gregge,e lui e Leò e Roccia si trovano a
portata di mano,e forse sono indispensabili,che altro si può fare se non
mettersi a sua disposizione?” (pagina 31)
Lui e i suoi
animali sono chiamati quasi scherzosamente nel villaggio “la santa trinità”
e,anche per questo,molti critici non mancarono di vedere tutta la narrazione in
chiave cristiana: sembra infatti quasi una perfetta parabola dell’uomo umile
che affronta tante difficoltà pur di aiutare i deboli senza alcun secondo fine.
Probabilmente Gunnarsson richiamò coscientemente i toni religiosi (forse
influenzato anche da “La regina delle nevi” di Andersen) ma di certo mirò a far
emergere “le fatiche dell’uomo nel riconquistare un senso alla propria
esistenza continuamente minacciata da forze soverchianti” (Alessandro
Zironi,pagina 131 de “Il pastore d’Islanda”, Iperborea 2016). Il giorno di
Natale è il punto di approdo del personaggio,una casa calda e tranquilla in cui
entrare dopo la tempesta ma quest’anno non lo passerà da solo La Natura gli ha
tolto molte forze,è costretto a riallacciare rapporti umani più forti e otterrà
un regalo di Natale speciale: un giovane pastore decide di intraprendere il suo
stesso,ripetitivo,faticoso viaggio.Per la prima volta c’è qualcuno che lo
comprende,che ha sentito il suo stesso richiamo.
La dura e vivida descrizione del gelo,del ghiaccio e del
buio che si impongo sullo sfondo della storia sono gli ostacoli da superare per
poter accedere al raggiungimento del proprio obiettivo e alla ritrovata serenità.
L’atmosfera finale appare dolce e l’armonia è palpabile. Credo che sia una
lettura suggestiva da fare su una poltrona, con una tazza di cioccolata calda
in mano e le luci dell’albero di Natale ad illuminare le pagine del libro.E’ un
racconto che ci riporta a quel Natale tanto caratteristico che avevamo in mente
da bambini fatto di neve,monti e pastorelli ma arricchito da uno stimolo alla riflessione
sul nostro rapporto con noi stessi,gli altri e la vita.Riflessioni che non
dovrebbero mai mancare per dare un reale valore a questa festa.