"Nessun altro portò a Troia tante navi come lui,
tanti soldati e carri da guerra. Cento navi
piene dei guerrieri più forti, scelti dalle sue molte città;
Agamennone li guidava combattendo avvolto nella sua
armatura di bronzo rilucente nel sole."
Conosciamo
tutti la guerra di Troia . L’esercito Acheo e l’esercito Troiano combattono in
un’area che possiamo identificare con l’odierna Turchia, probabilmente intorno
al XII-XIII secolo. Ricordiamo questo
episodio più per letteratura che per la storia: Omero , sul quale si dibatte da
anni riguardo la sua individualità e sulla sua autenticità, fa riferimento nell'Iliade ad una guerra durata nove anni ,
narrandone gli ultimi cinquanta giorni. La premessa di carattere amoroso qual è
il rapimento di Elena da parte di Paride, l’ira di Achille per la morte di
Patroclo, il tenero dialogo tra Ettore e Andromaca e altri episodi chiave ,
sono oggi incisi nella memoria letteraria di ogni essere umano in quanto
considerati archetipi letterari. Boitani addirittura afferma che tutto dopo
l’Iliade è una riscrittura: è un’ipotesi troppo azzardata per alcuni ma
sicuramente molti autori di ogni nazione e cultura hanno attinto al ricco
patrimonio tematico e linguistico dell’opera Omerica in maniera più o meno
cosciente , più o meno esplicita.
Un esempio
di riscrittura consapevolmente e chiaramente basata sull’Iliade è “ Io,
Agamennone” di Giulio Guidorizzi ( uscito nel 13 maggio 2016 per Einaudi). Come
già si può intuire dal titolo, protagonista indiscusso del libro è proprio il
re acheo , qui punto di vista privilegiato sugli avvenimenti interni ed esterni
alla guerra , che ci conduce attraverso nove capitoli. Nel prologo si interroga
la maschera d’oro di Agamennone conservata oggi al Museo Archeologico di Atene,
riportando così alla luce il personaggio letterario. Ad ogni capitolo è assegnato il nome di uno
dei concetti fondamentali della mentalità e della cultura greca del tempo. Naturalmente
i titoli non sono attribuiti a caso: nel primo capitolo “mythòs”, che richiama
al tradizionale modo di tramandare degli avvenimenti con il racconto, si delinea la stirpe di Agamennone e si
rintracciano le origini della maledizione nella quale è intrappolata: Pelope,
grazie all’aiuto di Mirtilo , era riuscito ad uccidere Enomao nel duello che
quest’ultimo organizzava ogni qual volta ci fosse un pretendente per sua figlia
Ippodàmia. Era un duello che Enomao vinceva sempre poiché era dotato di una
lancia di bronzo donatagli dal dio Ares stesso. Ma l’aiuto di Mirtilo non era
disinteressato: fu offerto a Pelope in cambio di una sola notte con Ippodamia,
notte che non arriverà mai poiché Pelope uccise Mirtilo dopo aver ottenuto il
suo aiuto. Mirtilo, nell’attimo prima di morire, mandò una fatale maledizione: “così
ebbe origine quella famiglia,nel sangue e nel tradimento, e alcuni dicono che
da allora è maledetta”.
Nei capitoli
successivi si snodano i concetti chiave dell’intera Iliade : La timè , l’onore
pubblico , la massima aspirazione dell’essere umano . Perché un uomo decide di
lasciare la famiglia, gli affetti, una casa sicura per recarsi in guerra? Ma cos’è
che conta alla fine se non l’essersi guadagnati fama eterna e aver assicurato
la gloria al proprio nome? “ La gloria passa nelle vene e si trasmette ai
discendenti insieme alle ricchezze e alle terre, e la memoria di un nome famoso
è l’eredità più bella che un padre possa lasciare”.
“ Agamennone
ha meditato su quello che deve fare; non è semplice da accettare e forse
neppure da dire, per un uomo orgoglioso come lui […]. Avrebbe dovuto richiamare
Achille, che dal giorno della contesa si è ritirato sotto la tenda e non ha
parlato più con nessuno. Aspetta certamente che l’offesa pubblica venga sanata
con una pubblica riparazione.”
Ognuno degli
episodi principali dell’iliade diventa esempio di un valore che fa parte della
trama del mondo culturale omerico. E’ tramite l’episodio della morte di
Patroclo che cogliamo la “sottile materia dell’anima” , la così detta psychè :
“ Questa è
l’anima che muore ; e dentro ogni uomo, come in un tratto di cielo in cui ogni
giorno corrono le nubi e poi torna a splendere il sole, s’inseguono senza
tregua le passioni, e niente riesce a contenerle, come non si riesce a tener
ferme le nubi”.
Di fronte alla
morte di Patroclo che causa l’angosciante disperazione di Achille ci si chiede
se hanno davvero senso gli sforzi per ottenere una gloria effimera. Che senso hanno i doni, le promesse, le
contese umane? Tutto è vano se si considera il macro disegno di cui facciamo
parte. Tutto è gestito da qualcosa di più grande della guerra, degli uomini e
perfino degli dei. Infatti il cuore
pulsante della concezione omerica del mondo è la moira:
“ Certo gli
dèi possono abbattere un uomo o esaltarlo, volere la vittoria o la sconfitta di
un popolo; ma in realtà non sono loro a muovere la moira, come chi fa rotolare
un cilindro gli dà il movimento ma non la proprietà di rotolare. Chi pensa di
essere libero è un folle; un essere umano non può fare niente di veramente
libero se non scegliere il modo in cui affrontare il suo destino, ma quando
viene il momento ciò che deve accadere accade e nessun dio può evitarlo”. Sono
queste le parole di Cassandra ( chi se non una veggente per parlarci di segni e
indizi del linguaggio sotteso dell’universo?)
nel penultimo capitolo di “ Io , Agamennone” , in un misto di
rassegnazione e invito a non fossilizzarsi sugli eventi terreni. Il nostro
destino è già deciso e per vivere senza ansia e frustrazione dobbiamo
accettarlo.
Nel capitolo
finale chiamato nóstos,
il ritorno, si racconta del ritorno di Agamennone nella sua reggia , di come i
suoi occhi si velino di lacrime riconoscendo i luoghi da dove era partito ben
dieci anni prima e ripensando alle vicende di una tanto lunga , sanguinosa ma
vinta guerra. Sua moglie Clitemnestra lo aspetta a casa, memore del sacrificio
della loro figlia Ifigenìa compiuto dal padre per propiziare l’esito in guerra.
Clitemnestra è pronta a riservargli lo stesso trattamento. Nell’epilogo
Agamennone racconta dall’Ade il suo destino:
quando tutto sembrava compiuto, quando era all’apice della sua potenza,
il re con tutta la sua servitù incontra
la morte nella sua propria casa e affermerà rivolgendosi al suo amico Ulisse :
“ Tu hai
visto tante volte giovani uccisi in battaglia: ma avresti pianto molto di più
allora, vedendo lo scempio di loro riversi qua e là per la sala, intorno al
grande cratere di vino, e tutto il pavimento che fumava di sangue.”
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