venerdì 21 ottobre 2016

"Io, Agamennone " di Giulio Guidorizzi



"Nessun altro portò a Troia tante navi come lui,
tanti soldati e carri da guerra. Cento navi
piene dei guerrieri più forti, scelti dalle sue molte città;
Agamennone li guidava combattendo avvolto nella sua
armatura di bronzo rilucente nel sole."


Conosciamo tutti la guerra di Troia . L’esercito Acheo e l’esercito Troiano combattono in un’area che possiamo identificare con l’odierna Turchia, probabilmente intorno al XII-XIII secolo.  Ricordiamo questo episodio più per letteratura che per la storia: Omero , sul quale si dibatte da anni riguardo la sua individualità e sulla sua autenticità, fa riferimento nell'Iliade ad una guerra durata nove anni  , narrandone gli ultimi cinquanta giorni. La premessa di carattere amoroso qual è il rapimento di Elena da parte di Paride, l’ira di Achille per la morte di Patroclo, il tenero dialogo tra Ettore e Andromaca e altri episodi chiave , sono oggi incisi nella memoria letteraria di ogni essere umano in quanto considerati archetipi letterari. Boitani addirittura afferma che tutto dopo l’Iliade è una riscrittura: è un’ipotesi troppo azzardata per alcuni ma sicuramente molti autori di ogni nazione e cultura hanno attinto al ricco patrimonio tematico e linguistico dell’opera Omerica in maniera più o meno cosciente , più o meno esplicita.





Un esempio di riscrittura consapevolmente e chiaramente basata sull’Iliade è “ Io, Agamennone” di Giulio Guidorizzi ( uscito nel 13 maggio 2016 per Einaudi). Come già si può intuire dal titolo, protagonista indiscusso del libro è proprio il re acheo , qui punto di vista privilegiato sugli avvenimenti interni ed esterni alla guerra , che ci conduce attraverso nove capitoli. Nel prologo si interroga la maschera d’oro di Agamennone conservata oggi al Museo Archeologico di Atene, riportando così alla luce il personaggio letterario.  Ad ogni capitolo è assegnato il nome di uno dei concetti fondamentali della mentalità e della cultura greca del tempo. Naturalmente i titoli non sono attribuiti a caso: nel primo capitolo “mythòs”, che richiama al tradizionale modo di tramandare degli avvenimenti con il racconto,  si delinea la stirpe di Agamennone e si rintracciano le origini della maledizione nella quale è intrappolata: Pelope, grazie all’aiuto di Mirtilo , era riuscito ad uccidere Enomao nel duello che quest’ultimo organizzava ogni qual volta ci fosse un pretendente per sua figlia Ippodàmia. Era un duello che Enomao vinceva sempre poiché era dotato di una lancia di bronzo donatagli dal dio Ares stesso. Ma l’aiuto di Mirtilo non era disinteressato: fu offerto a Pelope in cambio di una sola notte con Ippodamia, notte che non arriverà mai poiché Pelope uccise Mirtilo dopo aver ottenuto il suo aiuto. Mirtilo, nell’attimo prima di morire, mandò una fatale maledizione: “così ebbe origine quella famiglia,nel sangue e nel tradimento, e alcuni dicono che da allora è maledetta”.


Nei capitoli successivi si snodano i concetti chiave dell’intera Iliade : La timè , l’onore pubblico , la massima aspirazione dell’essere umano . Perché un uomo decide di lasciare la famiglia, gli affetti, una casa sicura per recarsi in guerra? Ma cos’è che conta alla fine se non l’essersi guadagnati fama eterna e aver assicurato la gloria al proprio nome? “ La gloria passa nelle vene e si trasmette ai discendenti insieme alle ricchezze e alle terre, e la memoria di un nome famoso è l’eredità più bella che un padre possa lasciare”.



Naturalmente bisognava dimostrare materialmente il proprio onore con bottini di guerra adeguati. Un particolare oggetto o  una schiava potevano essere utili a questo.  Agamennone e Achille si contendono la schiava troiana Briseide dopo che Agamennone ha dovuto restituire Criseide, il suo ghèras. Agamennone ha il potere e prevale su Achille in questa contesa che , irato, rinuncia così alla guerra. Per cercare di riottenere l’aiuto dell’eroe più forte del tempo , bisogna porgergli dei dòra, dei doni, sottolineandone la forte valenza economica e antropologica:


“ Agamennone ha meditato su quello che deve fare; non è semplice da accettare e forse neppure da dire, per un uomo orgoglioso come lui […]. Avrebbe dovuto richiamare Achille, che dal giorno della contesa si è ritirato sotto la tenda e non ha parlato più con nessuno. Aspetta certamente che l’offesa pubblica venga sanata con una pubblica riparazione.”








Ognuno degli episodi principali dell’iliade diventa esempio di un valore che fa parte della trama del mondo culturale omerico. E’ tramite l’episodio della morte di Patroclo che cogliamo la “sottile materia dell’anima” , la così detta psychè :


“ Questa è l’anima che muore ; e dentro ogni uomo, come in un tratto di cielo in cui ogni giorno corrono le nubi e poi torna a splendere il sole, s’inseguono senza tregua le passioni, e niente riesce a contenerle, come non si riesce a tener ferme le nubi”.


Di fronte alla morte di Patroclo che causa l’angosciante disperazione di Achille ci si chiede se hanno davvero senso gli sforzi per ottenere una gloria effimera.  Che senso hanno i doni, le promesse, le contese umane? Tutto è vano se si considera il macro disegno di cui facciamo parte. Tutto è gestito da qualcosa di più grande della guerra, degli uomini e perfino degli dei.  Infatti il cuore pulsante della concezione omerica del mondo è la moira:


“ Certo gli dèi possono abbattere un uomo o esaltarlo, volere la vittoria o la sconfitta di un popolo; ma in realtà non sono loro a muovere la moira, come chi fa rotolare un cilindro gli dà il movimento ma non la proprietà di rotolare. Chi pensa di essere libero è un folle; un essere umano non può fare niente di veramente libero se non scegliere il modo in cui affrontare il suo destino, ma quando viene il momento ciò che deve accadere accade e nessun dio può evitarlo”. Sono queste le parole di Cassandra ( chi se non una veggente per parlarci di segni e indizi del linguaggio sotteso dell’universo?)  nel penultimo capitolo di “ Io , Agamennone” , in un misto di rassegnazione e invito a non fossilizzarsi sugli eventi terreni. Il nostro destino è già deciso e per vivere senza ansia e frustrazione dobbiamo accettarlo.  


Nel capitolo finale chiamato nóstos, il ritorno, si racconta del ritorno di Agamennone nella sua reggia , di come i suoi occhi si velino di lacrime riconoscendo i luoghi da dove era partito ben dieci anni prima e ripensando alle vicende di una tanto lunga , sanguinosa ma vinta guerra. Sua moglie Clitemnestra lo aspetta a casa, memore del sacrificio della loro figlia Ifigenìa compiuto dal padre per propiziare l’esito in guerra. Clitemnestra è pronta a riservargli lo stesso trattamento. Nell’epilogo Agamennone racconta dall’Ade il suo destino:  quando tutto sembrava compiuto, quando era all’apice della sua potenza, il re con tutta la sua servitù  incontra la morte nella sua propria casa e affermerà rivolgendosi al suo amico Ulisse :


“ Tu hai visto tante volte giovani uccisi in battaglia: ma avresti pianto molto di più allora, vedendo lo scempio di loro riversi qua e là per la sala, intorno al grande cratere di vino, e tutto il pavimento che fumava di sangue.”

E’ una riscrittura a dir poco affascinante: Agamennone fa fatica a rimanere impresso nella nostra memoria dopo aver letto l’Iliade, nulla a confronto con il vigoroso Achille, con la bellissima Elena o con l’astuto Ulisse. In questo libro il re acheo mostra la sua interiorità, con le sue percezioni e le sue riflessioni, diventando un personaggio a tutto tondo, più umano. La prosa è accattivante e il linguaggio rende chiaro ogni collegamento di fatti e personaggi, puntellando la narrazione di termini greci e riferimenti all’antichità. Tutto risulterà comprensibile anche a chi non è esperto della lingua o della cultura della Grecia antica , anzi, trovo che ne invogli lo studio. Gli eventi sembrano scorrere  come in un film, si incastrano tra di loro creando spontaneamente nella nostra mente un mosaico di generazioni, luoghi e relazioni . Ci sembrerà al termine della lettura di essere stati presenti in quei momenti di ira, lotta, commozione, sconforto, timore e onore. Saremo per sempre legati ai personaggi . Un titolo generico per ciò che mi ha lasciato? Pathos.

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