Non è come nasci, ma come muori, che rivela a quale popolo
tu appartieni – Alce Nero
Cosa diventa
un saggio storico arricchito di esperienze personali e spirituali, di cenni
agli usi di un popolo e ai loro gusti? Diventa un libro da avere necessariamente
nella propria biblioteca. Questa è la prima definizione che sento di dare a
“Gli spiriti non dimenticano”, il libro di Vittorio Zucconi uscito per la prima
volta nel 1996 per la casa editrice Le Scie. Il talento giornalistico
dell’autore, l'esperienza sul campo, la sua passione per la storia dei
Nativi Americani e piccoli grandi presagi dagli spiriti, confluiscono in 308
godibilissime pagine di storia.
D’altronde
non si potrebbe comprendere davvero la storia dei Sioux senza conoscere il senso di
religione che ne è alla base. Ogni decisione, sia che riguardasse il cibo da consumare per pranzo sia quale tattica bellica usare, era calibrata su una
forte spiritualità . Ogni azione dei Sioux era preceduta da una lunga
“meditazione”, una cavalcata nelle estese praterie e sogni premonitori. Visioni
precise nei minimi dettagli.
Gli eventi
narrati iniziano con il trattato di Fort Laramie del 1851, primo accordo Lakota
Sioux e Americani, in cui i primi concedevano il passaggio dei loro pionieri “visi pallidi”
sulla strada dell’Oregon in cambio di viveri , e finiscono alla resa nel 1876
dell’ultimo capo dei Lakota Sioux, Tashunka Uitko. Cavallo Pazzo. Gli eventi di
un ventennio fatto di trattati e tattiche militari si snodano davanti ai nostri
occhi in una prospettiva puntuale ed attendibile.
Allora cosa
differenzia “Gli spiriti non dimenticano” da un comune trattato di storia
americana?
L’eclettismo
di Zucconi è la carta vincente di questo saggio: la precisione della cronaca
storica è arricchita di approfondimenti di carattere antropologico. Siamo
catapultati nelle grandi praterie del nord America, ci sembra di cavalcare al
fianco di Tashunka Uitko durante la sua prima caccia al bisonte, osservandone le
tempistiche, ammirando le tecniche che ha acquisito e affinato con l’esperienza di
generazioni prima di lui; Seguiamo lui e le altre famiglie Lakota nei loro spostamenti
stagionali alla ricerca di un clima più mite e di una fauna più ricca, per
assolvere al primo dei compiti di un uomo Lakota, ovvero il benessere della sua
famiglia; ci sediamo con Cavallo Pazzo attorno al fuoco del tipì, la tenda fatta di pelli, durante
la cena a base di stufato di bisonte e nel frattempo spiamo il rituale di
corteggiamento “sotto la coperta” nei
confronti della donna che amerà per sempre, Donna del bisonte Nero; lo seguiamo
in silenzio durante le sue cavalcate nelle praterie, nei momenti di solitudine
contemplativa alla ricerca di un messaggio del Grande Mistero. La forza di
questo libro sta nel mescolare il rigore cronachistico all’umanità dei
personaggi. Empatizziamo con loro, sentiamo anche noi di essere un po’ Lakota. O così
vorremmo che fosse.
Abbiamo la
possibilità di ricordare che la storia è fatta da persone, da culture diverse,
non più o meno sviluppate. Solo diversamente affascinanti. Ci viene così più
semplice capire come la guerra abbia una buona componente psicologica oltre che
fisica, componente che ha permesso ai nativi di destreggiarsi a lungo tra il
fuoco delle innovative armi da sparo dei bianchi .
“Erano
poveri ragazzi terrorizzati, spesso giovanissimi, reclute di diciassette,
diciotto anni, che guardavano in viso una morte orribile e persero la testa. Racconta
Toro dal cuore cattivo: Lasciatelo andare, lasciatelo andare perché vada a
raccontare ai bianchi quel che è successo qui oggi. Fermai il cavallo ma il
soldato continuò a galoppare, si puntò la pistola alla tempia e si uccise”.
Chi ha
l’immagine dei Nativi Americani come guerrieri dalle armi rudimentali e in
netto svantaggio sbaglia: la loro forza d’animo e intelligenza bellica furono devastanti
per i soldati americani.
Né i nativi né i soldati americani risultano idealizzati o demonizzati. Zucconi
non prende le parti di nessuno, ma anzi riesce a trasmettere i motivi del
perché entrambe le fazioni agissero in una maniera piuttosto che in un’altra, giustificandoli
sapientemente con il differente contesto culturale a cui appartengono.
L’azione bellica è resa meno arida dai
comportamenti archetipici, naturali e spontanei dei suoi protagonisti: rintracciamo così in
Senz’Acqua una specie di bullo del quartiere, in Donna del Bisonte Nero la
ragazza per cui tutti avevano una cotta al liceo, nel Generale Custer “capelli
lunghi” un tipo in vista un po’ snob; In Cavallo Pazzo l’eroe che fingevamo di
essere da bambini, un turbinio compatto di valore, coraggio e di giusta dose di
sfrontatezza che normalmente si può rintracciare solo nei film.
Ma chi è
stato davvero Tashunka Uitko? Zucconi ripercorre le fasi della sua vita da
quando era “ solo “ Riccetto, un ragazzino Oglala sveglio e con tanta voglia di
imparare, passando per un giovane cacciatore di bisonti, fino all’uomo
investito dal Grande Spirito della missione di proteggere il suo popolo fino
alla fine delle sue forze. Il coraggioso e carismatico Cavallo Pazzo cresce davanti
ai nostri occhi acquisendo gradualmente le qualità di leader militare, spirituale
e infine politico, senza venire meno la sua dose di riservatezza, timidezza e
umiltà.
Sarebbe
stato bello poterlo ammirare al galoppo sul suo cavallo baio sul sentiero di
guerra, con un’unica penna di falco rosso tra i capelli al posto di quel
copricapo coperto di piume impresso nell’immaginario collettivo. Tuttavia
questo non ci sarà mai possibile: non abbiamo foto di Cavallo Pazzo, non se
n’era mai lasciate scattare al contrario di altri capi Sioux.
“ Il dottor
Gillcuddy (addetto alla sanità di Fort Robinson) e Cavallo Pazzo divennero
amici […] e il medico chiese al capo guerriero il permesso di fotografarlo. Dottore, gli rispose l’indiano, perché vuole accorciarmi la vita rubando la
mia ombra? L’ufficiale medico non insistette.”
Tashunka
Witko rifiutò strenuamente di ritirarsi nelle riserve ed essere al servizio
dei conquistadores americani.
Rifiutò persino di fuggire in Canada con Toro Seduto. Quando capì di aver
assolto alla sua missione, scese le colline con tutta la sua gente e si
consegnò ai soldati americani. Proprio come annunciato dalla visione del
Cavaliere del Tuono che ebbe da ragazzino, fu ucciso da uomini Lakota, amici
d’infanzia ormai passati al servizio degli Stati Uniti. Non si conosce il luogo
di sepoltura del suo corpo: solo sette uomini, di generazione in generazione, tramandano questo grande segreto,
ma questo non causa attriti ne remore. Come disse Alce Nero prima di morire nel
1939, “Neppure io so dov’è sepolto Cavallo Pazzo e non mi interessa saperlo. Il
suo corpo è diventato erba della prateria e solo il suo spirito vive. Io voglio
essere con il suo spirito, non con le sue ossa”.
Link diretto alla video recensione: https://www.youtube.com/watch?v=uq4PpA9UkeI&t=10s
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