martedì 11 luglio 2017

Gli spiriti non dimenticano.Il mistero di Cavallo Pazzo e la tragedia dei Sioux

Non è come nasci, ma come muori, che rivela a quale popolo tu appartieni – Alce Nero

Cosa diventa un saggio storico arricchito di esperienze personali e spirituali, di cenni agli usi di un popolo e ai loro gusti? Diventa un libro da avere necessariamente nella propria biblioteca. Questa è la prima definizione che sento di dare a “Gli spiriti non dimenticano”, il libro di Vittorio Zucconi uscito per la prima volta nel 1996 per la casa editrice Le Scie. Il talento giornalistico dell’autore, l'esperienza sul campo, la sua passione per la storia dei Nativi Americani e piccoli grandi presagi dagli spiriti, confluiscono in 308 godibilissime pagine di storia.

D’altronde non si potrebbe comprendere davvero la storia dei Sioux senza conoscere il senso di religione che ne è alla base. Ogni decisione, sia che riguardasse il cibo da consumare per pranzo sia quale tattica bellica usare, era calibrata su una forte spiritualità . Ogni azione dei Sioux era preceduta da una lunga “meditazione”, una cavalcata nelle estese praterie e sogni premonitori. Visioni precise nei minimi dettagli.
Gli eventi narrati iniziano con il trattato di Fort Laramie del 1851, primo accordo Lakota Sioux e Americani, in cui i primi concedevano  il passaggio dei loro pionieri “visi pallidi” sulla strada dell’Oregon in cambio di viveri , e finiscono alla resa nel 1876 dell’ultimo capo dei Lakota Sioux, Tashunka Uitko. Cavallo Pazzo. Gli eventi di un ventennio fatto di trattati e tattiche militari si snodano davanti ai nostri occhi in una prospettiva puntuale ed attendibile.
Allora cosa differenzia “Gli spiriti non dimenticano” da un comune trattato di storia americana?
L’eclettismo di Zucconi è la carta vincente di questo saggio: la precisione della cronaca storica è arricchita di approfondimenti di carattere antropologico. Siamo catapultati nelle grandi praterie del nord America, ci sembra di cavalcare al fianco di Tashunka Uitko durante la sua prima caccia al bisonte, osservandone le tempistiche, ammirando le tecniche che ha acquisito e affinato con l’esperienza di generazioni prima di lui; Seguiamo lui e le altre famiglie Lakota nei loro spostamenti stagionali alla ricerca di un clima più mite e di una fauna più ricca, per assolvere al primo dei compiti di un uomo Lakota, ovvero il benessere della sua famiglia; ci sediamo con Cavallo Pazzo attorno al fuoco del tipì, la tenda fatta di pelli, durante la cena a base di stufato di bisonte e nel frattempo spiamo il rituale di corteggiamento “sotto la coperta”  nei confronti della donna che amerà per sempre, Donna del bisonte Nero; lo seguiamo in silenzio durante le sue cavalcate nelle praterie, nei momenti di solitudine contemplativa alla ricerca di un messaggio del Grande Mistero. La forza di questo libro sta nel mescolare il rigore cronachistico all’umanità dei personaggi. Empatizziamo con loro, sentiamo anche noi di essere un po’ Lakota. O così vorremmo che fosse.

Abbiamo la possibilità di ricordare che la storia è fatta da persone, da culture diverse, non più o meno sviluppate. Solo diversamente affascinanti. Ci viene così più semplice capire come la guerra abbia una buona componente psicologica oltre che fisica, componente che ha permesso ai nativi di destreggiarsi a lungo tra il fuoco delle innovative armi da sparo dei bianchi .
“Erano poveri ragazzi terrorizzati, spesso giovanissimi, reclute di diciassette, diciotto anni, che guardavano in viso una morte orribile e persero la testa. Racconta Toro dal cuore cattivo: Lasciatelo andare, lasciatelo andare perché vada a raccontare ai bianchi quel che è successo qui oggi. Fermai il cavallo ma il soldato continuò a galoppare, si puntò la pistola alla tempia e si uccise”.
Chi ha l’immagine dei Nativi Americani come guerrieri dalle armi rudimentali e in netto svantaggio sbaglia: la loro forza d’animo e intelligenza bellica furono devastanti per i soldati americani.

Né i nativi né i soldati americani risultano idealizzati o demonizzati. Zucconi non prende le parti di nessuno, ma anzi riesce a trasmettere i motivi del perché entrambe le fazioni agissero in una maniera piuttosto che in un’altra, giustificandoli sapientemente con il differente contesto culturale a cui appartengono. L’azione bellica  è resa meno arida dai comportamenti archetipici, naturali e spontanei dei suoi protagonisti: rintracciamo così in Senz’Acqua una specie di bullo del quartiere, in Donna del Bisonte Nero la ragazza per cui tutti avevano una cotta al liceo, nel Generale Custer “capelli lunghi” un tipo in vista un po’ snob; In Cavallo Pazzo l’eroe che fingevamo di essere da bambini, un turbinio compatto di valore, coraggio e di giusta dose di sfrontatezza che normalmente si può rintracciare solo nei film.

Ma chi è stato davvero Tashunka Uitko? Zucconi ripercorre le fasi della sua vita da quando era “ solo “ Riccetto, un ragazzino Oglala sveglio e con tanta voglia di imparare, passando per un giovane cacciatore di bisonti, fino all’uomo investito dal Grande Spirito della missione di proteggere il suo popolo fino alla fine delle sue forze. Il coraggioso e carismatico Cavallo Pazzo cresce davanti ai nostri occhi acquisendo gradualmente le qualità di leader militare, spirituale e infine politico, senza venire meno la sua dose di riservatezza, timidezza e umiltà.
Sarebbe stato bello poterlo ammirare al galoppo sul suo cavallo baio sul sentiero di guerra, con un’unica penna di falco rosso tra i capelli al posto di quel copricapo coperto di piume impresso nell’immaginario collettivo. Tuttavia questo non ci sarà mai possibile: non abbiamo foto di Cavallo Pazzo, non se n’era mai lasciate scattare al contrario di altri capi Sioux.
“ Il dottor Gillcuddy (addetto alla sanità di Fort Robinson) e Cavallo Pazzo divennero amici […] e il medico chiese al capo guerriero il permesso di fotografarlo. Dottore, gli rispose l’indiano, perché vuole accorciarmi la vita rubando la mia ombra? L’ufficiale medico non insistette.”

Tashunka Witko rifiutò strenuamente di ritirarsi nelle riserve ed essere al servizio dei conquistadores americani. Rifiutò persino di fuggire in Canada con Toro Seduto. Quando capì di aver assolto alla sua missione, scese le colline con tutta la sua gente e si consegnò ai soldati americani. Proprio come annunciato dalla visione del Cavaliere del Tuono che ebbe da ragazzino, fu ucciso da uomini Lakota, amici d’infanzia ormai passati al servizio degli Stati Uniti. Non si conosce il luogo di sepoltura del suo corpo: solo sette uomini, di generazione in  generazione, tramandano questo grande segreto, ma questo non causa attriti ne remore. Come disse Alce Nero prima di morire nel 1939, “Neppure io so dov’è sepolto Cavallo Pazzo e non mi interessa saperlo. Il suo corpo è diventato erba della prateria e solo il suo spirito vive. Io voglio essere con il suo spirito, non con le sue ossa”.

La tragedia dei Sioux e il mistero di Cavallo Pazzo rivivono oggi nelle vividissime pagine di questo libro, in un immaginario comune più cosciente  e nel suono inaspettato di fischietto d’osso d’aquila … 

Link diretto alla video recensione: https://www.youtube.com/watch?v=uq4PpA9UkeI&t=10s

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