domenica 4 dicembre 2016

"Il pastore d'Islanda" di Gunnar Gunnarsson

 
“Chi non l’ha mai bevuto un caffè in una buca nella terra,
a trenta gradi sotto zero e in mezzo a un deserto
di montagne e tempesta,non sa cos’è il caffè”

 (Il pastore d’Islanda- Gunnar Gunnarsson)





Appena ho visto questo libro sulla pagina della casa editrice “Iperborea” ho pensato subito di comprarlo. Il titolo e la copertina sembravano già molto eloquenti e ,data la mia passione per l’Europa del Nord,sono corsa in libreria a acquistarlo. Il libro in questione è uscito il 4 Novembre 2016 per la casa editrice Iperborea ma questo racconto risale a qualche anno fa.Viene infatti pubblicato nel 1936 in lingua danese (titolo originale Advent) nonostante l’autore Gunnar Gunnarsson fosse Islandese.Al tempo della sua adolescenza infatti l’Islanda non era uno dei paesi più fiorenti nel campo letterario e Gunnarsson decise di proseguire i suoi studi ad Askov,in Danimarca.I suoi racconti si collocano in pieno Scandinavismo,movimento linguistico-letterario nato attorno agli anni ’30 del Novecento che riconosceva e focalizzava la propria attenzione sul passato unitario di cultura,mitologia,lingua e storia nordiche.

Il “Pastore d’Islanda” è narrato sullo sfondo delle imponenti montagne Islandesi, dell’aria pungente dell’inverno e del deserto gelato che esso crea.Il protagonista è Benedikt,un pastore sulla cinquantina che ormai da ventisette anni sceglie di trascorre le festività natalizie sui monti alla ricerca delle pecore smarrite,sfuggite ai raduni autunnali.Nessun uomo vuole accompagnarlo sia per i rischi di questa missione sia perché Benedikt non è di certo l’uomo più solare del mondo.Lì tra la neve e i ghiacci,Benedikt ha seppellito la paura della vita e della morte e ha trovato il suo posto nel mondo.Si fa carico del proprio compito e asseconda con serenità lo scopo della sua vita.Interpreta in questo modo il cammino dell’Avvento.Solo il suo fedele cane Leò e il montone Roccia intraprendono ogni anno con lui questo viaggio,caratterizzandolo con comportamenti e gesti quasi umani.L’impressione che ho avuto è che i due animali scindessero la personalità di Benedikt rappresentandola più chiaramente: Leò è allegro,giocherellone,ottimista quasi ai limiti dell’innocenza; di contro Roccia è razionale, fermo, quasi impassibile e solitario.

Nessuno dei vari personaggi che costellano il racconto riesce a comprendere Benedikt fino in fondo nonostante provino tutti un forte affetto per lui. Anzi, sembra quasi che Benedikt scoraggi gli altri ad ogni domanda e sforzo di comprensione , si astiene da ogni spiegazione e ricerca eccessiva di compagnia.

“Perché se viene un uomo che deve radunare il suo gregge,e lui e Leò e Roccia si trovano a portata di mano,e forse sono indispensabili,che altro si può fare se non mettersi a sua disposizione?” (pagina 31)

Lui e i suoi animali sono chiamati quasi scherzosamente nel villaggio “la santa trinità” e,anche per questo,molti critici non mancarono di vedere tutta la narrazione in chiave cristiana: sembra infatti quasi una perfetta parabola dell’uomo umile che affronta tante difficoltà pur di aiutare i deboli senza alcun secondo fine. Probabilmente Gunnarsson richiamò coscientemente i toni religiosi (forse influenzato anche da “La regina delle nevi” di Andersen) ma di certo mirò a far emergere “le fatiche dell’uomo nel riconquistare un senso alla propria esistenza continuamente minacciata da forze soverchianti” (Alessandro Zironi,pagina 131 de “Il pastore d’Islanda”, Iperborea 2016). Il giorno di Natale è il punto di approdo del personaggio,una casa calda e tranquilla in cui entrare dopo la tempesta ma quest’anno non lo passerà da solo La Natura gli ha tolto molte forze,è costretto a riallacciare rapporti umani più forti e otterrà un regalo di Natale speciale: un giovane pastore decide di intraprendere il suo stesso,ripetitivo,faticoso viaggio.Per la prima volta c’è qualcuno che lo comprende,che ha sentito il suo stesso richiamo.

La dura e vivida descrizione del gelo,del ghiaccio e del buio che si impongo sullo sfondo della storia sono gli ostacoli da superare per poter accedere al raggiungimento del proprio obiettivo e alla ritrovata serenità. L’atmosfera finale appare dolce e l’armonia è palpabile. Credo che sia una lettura suggestiva da fare su una poltrona, con una tazza di cioccolata calda in mano e le luci dell’albero di Natale ad illuminare le pagine del libro.E’ un racconto che ci riporta a quel Natale tanto caratteristico che avevamo in mente da bambini fatto di neve,monti e pastorelli ma arricchito da uno stimolo alla riflessione sul nostro rapporto con noi stessi,gli altri e la vita.Riflessioni che non dovrebbero mai mancare per dare un reale valore a questa festa.


venerdì 21 ottobre 2016

"Io, Agamennone " di Giulio Guidorizzi



"Nessun altro portò a Troia tante navi come lui,
tanti soldati e carri da guerra. Cento navi
piene dei guerrieri più forti, scelti dalle sue molte città;
Agamennone li guidava combattendo avvolto nella sua
armatura di bronzo rilucente nel sole."


Conosciamo tutti la guerra di Troia . L’esercito Acheo e l’esercito Troiano combattono in un’area che possiamo identificare con l’odierna Turchia, probabilmente intorno al XII-XIII secolo.  Ricordiamo questo episodio più per letteratura che per la storia: Omero , sul quale si dibatte da anni riguardo la sua individualità e sulla sua autenticità, fa riferimento nell'Iliade ad una guerra durata nove anni  , narrandone gli ultimi cinquanta giorni. La premessa di carattere amoroso qual è il rapimento di Elena da parte di Paride, l’ira di Achille per la morte di Patroclo, il tenero dialogo tra Ettore e Andromaca e altri episodi chiave , sono oggi incisi nella memoria letteraria di ogni essere umano in quanto considerati archetipi letterari. Boitani addirittura afferma che tutto dopo l’Iliade è una riscrittura: è un’ipotesi troppo azzardata per alcuni ma sicuramente molti autori di ogni nazione e cultura hanno attinto al ricco patrimonio tematico e linguistico dell’opera Omerica in maniera più o meno cosciente , più o meno esplicita.





Un esempio di riscrittura consapevolmente e chiaramente basata sull’Iliade è “ Io, Agamennone” di Giulio Guidorizzi ( uscito nel 13 maggio 2016 per Einaudi). Come già si può intuire dal titolo, protagonista indiscusso del libro è proprio il re acheo , qui punto di vista privilegiato sugli avvenimenti interni ed esterni alla guerra , che ci conduce attraverso nove capitoli. Nel prologo si interroga la maschera d’oro di Agamennone conservata oggi al Museo Archeologico di Atene, riportando così alla luce il personaggio letterario.  Ad ogni capitolo è assegnato il nome di uno dei concetti fondamentali della mentalità e della cultura greca del tempo. Naturalmente i titoli non sono attribuiti a caso: nel primo capitolo “mythòs”, che richiama al tradizionale modo di tramandare degli avvenimenti con il racconto,  si delinea la stirpe di Agamennone e si rintracciano le origini della maledizione nella quale è intrappolata: Pelope, grazie all’aiuto di Mirtilo , era riuscito ad uccidere Enomao nel duello che quest’ultimo organizzava ogni qual volta ci fosse un pretendente per sua figlia Ippodàmia. Era un duello che Enomao vinceva sempre poiché era dotato di una lancia di bronzo donatagli dal dio Ares stesso. Ma l’aiuto di Mirtilo non era disinteressato: fu offerto a Pelope in cambio di una sola notte con Ippodamia, notte che non arriverà mai poiché Pelope uccise Mirtilo dopo aver ottenuto il suo aiuto. Mirtilo, nell’attimo prima di morire, mandò una fatale maledizione: “così ebbe origine quella famiglia,nel sangue e nel tradimento, e alcuni dicono che da allora è maledetta”.


Nei capitoli successivi si snodano i concetti chiave dell’intera Iliade : La timè , l’onore pubblico , la massima aspirazione dell’essere umano . Perché un uomo decide di lasciare la famiglia, gli affetti, una casa sicura per recarsi in guerra? Ma cos’è che conta alla fine se non l’essersi guadagnati fama eterna e aver assicurato la gloria al proprio nome? “ La gloria passa nelle vene e si trasmette ai discendenti insieme alle ricchezze e alle terre, e la memoria di un nome famoso è l’eredità più bella che un padre possa lasciare”.



Naturalmente bisognava dimostrare materialmente il proprio onore con bottini di guerra adeguati. Un particolare oggetto o  una schiava potevano essere utili a questo.  Agamennone e Achille si contendono la schiava troiana Briseide dopo che Agamennone ha dovuto restituire Criseide, il suo ghèras. Agamennone ha il potere e prevale su Achille in questa contesa che , irato, rinuncia così alla guerra. Per cercare di riottenere l’aiuto dell’eroe più forte del tempo , bisogna porgergli dei dòra, dei doni, sottolineandone la forte valenza economica e antropologica:


“ Agamennone ha meditato su quello che deve fare; non è semplice da accettare e forse neppure da dire, per un uomo orgoglioso come lui […]. Avrebbe dovuto richiamare Achille, che dal giorno della contesa si è ritirato sotto la tenda e non ha parlato più con nessuno. Aspetta certamente che l’offesa pubblica venga sanata con una pubblica riparazione.”








Ognuno degli episodi principali dell’iliade diventa esempio di un valore che fa parte della trama del mondo culturale omerico. E’ tramite l’episodio della morte di Patroclo che cogliamo la “sottile materia dell’anima” , la così detta psychè :


“ Questa è l’anima che muore ; e dentro ogni uomo, come in un tratto di cielo in cui ogni giorno corrono le nubi e poi torna a splendere il sole, s’inseguono senza tregua le passioni, e niente riesce a contenerle, come non si riesce a tener ferme le nubi”.


Di fronte alla morte di Patroclo che causa l’angosciante disperazione di Achille ci si chiede se hanno davvero senso gli sforzi per ottenere una gloria effimera.  Che senso hanno i doni, le promesse, le contese umane? Tutto è vano se si considera il macro disegno di cui facciamo parte. Tutto è gestito da qualcosa di più grande della guerra, degli uomini e perfino degli dei.  Infatti il cuore pulsante della concezione omerica del mondo è la moira:


“ Certo gli dèi possono abbattere un uomo o esaltarlo, volere la vittoria o la sconfitta di un popolo; ma in realtà non sono loro a muovere la moira, come chi fa rotolare un cilindro gli dà il movimento ma non la proprietà di rotolare. Chi pensa di essere libero è un folle; un essere umano non può fare niente di veramente libero se non scegliere il modo in cui affrontare il suo destino, ma quando viene il momento ciò che deve accadere accade e nessun dio può evitarlo”. Sono queste le parole di Cassandra ( chi se non una veggente per parlarci di segni e indizi del linguaggio sotteso dell’universo?)  nel penultimo capitolo di “ Io , Agamennone” , in un misto di rassegnazione e invito a non fossilizzarsi sugli eventi terreni. Il nostro destino è già deciso e per vivere senza ansia e frustrazione dobbiamo accettarlo.  


Nel capitolo finale chiamato nóstos, il ritorno, si racconta del ritorno di Agamennone nella sua reggia , di come i suoi occhi si velino di lacrime riconoscendo i luoghi da dove era partito ben dieci anni prima e ripensando alle vicende di una tanto lunga , sanguinosa ma vinta guerra. Sua moglie Clitemnestra lo aspetta a casa, memore del sacrificio della loro figlia Ifigenìa compiuto dal padre per propiziare l’esito in guerra. Clitemnestra è pronta a riservargli lo stesso trattamento. Nell’epilogo Agamennone racconta dall’Ade il suo destino:  quando tutto sembrava compiuto, quando era all’apice della sua potenza, il re con tutta la sua servitù  incontra la morte nella sua propria casa e affermerà rivolgendosi al suo amico Ulisse :


“ Tu hai visto tante volte giovani uccisi in battaglia: ma avresti pianto molto di più allora, vedendo lo scempio di loro riversi qua e là per la sala, intorno al grande cratere di vino, e tutto il pavimento che fumava di sangue.”

E’ una riscrittura a dir poco affascinante: Agamennone fa fatica a rimanere impresso nella nostra memoria dopo aver letto l’Iliade, nulla a confronto con il vigoroso Achille, con la bellissima Elena o con l’astuto Ulisse. In questo libro il re acheo mostra la sua interiorità, con le sue percezioni e le sue riflessioni, diventando un personaggio a tutto tondo, più umano. La prosa è accattivante e il linguaggio rende chiaro ogni collegamento di fatti e personaggi, puntellando la narrazione di termini greci e riferimenti all’antichità. Tutto risulterà comprensibile anche a chi non è esperto della lingua o della cultura della Grecia antica , anzi, trovo che ne invogli lo studio. Gli eventi sembrano scorrere  come in un film, si incastrano tra di loro creando spontaneamente nella nostra mente un mosaico di generazioni, luoghi e relazioni . Ci sembrerà al termine della lettura di essere stati presenti in quei momenti di ira, lotta, commozione, sconforto, timore e onore. Saremo per sempre legati ai personaggi . Un titolo generico per ciò che mi ha lasciato? Pathos.

mercoledì 19 ottobre 2016

Presentazioni : Winds of Ithaca and Moonhowling...

Ho provato tante volte a scrivere pagine di diario. Scrivevo della mia vita quotidiana , di canzoni che ascoltavo o di film che vedevo, di viaggi o di idee, di passioni e di emozioni. In realtà non sono mai stata molto costante. E allora da dove nasce l'idea di questo blog ? Ho iniziato a seguire quest'anno un corso di Letterature comparate all'università. Oltre al classico esame ci è stato assegnato il compito di produrre una riscrittura dell'Iliade o di parte di essa. E' forse la prima volta durante gli studi universitari che mi trovo a confrontarmi concretamente con la mia creatività e con il mio modo di scrivere , ammetto di averlo un po' tralasciato. Grazie alla possibilità che mi ha dato questa professoressa e grazie all'entusiasmo e alle idee che sono venute fuori dal seminario sulle riscritture annesso al corso, ho riscoperto la voglia di scrivere ma stavolta è supportata anche da tanti stimoli nuovi, dalla molteplicità di argomenti che affronto nel mio percorso di studi e dai libri che leggo. Spero di affinare sempre di più passione, metodo, tecnica e creatività in modo da produrre recensioni e idee di cui essere sodisfatta. Spero anche naturalmente di poter trasmettere almeno un pezzettino del mio entusiasmo a chiunque abbia voglia di leggere i miei lavori! "Winds of Ithaca" sarà la musica di sottofondo della mia riscrittura durante il reading organizzato dal gruppo del seminario. E' una musica che mi trasmette forza e nostalgia di profumi antichi. Il titolo, nonostante suggerisca inevitabilmente una delle opere dell'antichità, non vincolerà questo blog nello spaziare anche in testi di ambito moderno. Nella varietà c'è bellezza e forza ! :)



Ululare viene generalmente riferito alla luna . Nell'immaginario collettivo è un suono che rompe il silenzio della notte, capace di attirare tutta l'attenzione di chi ha la fortuna di ascoltarlo, è una voce liberatoria, simbolo di potenza, vitalità, condivisione.
Il libro è un oggetto comune, lo si può trovare ovunque se ci si guarda bene intorno. E' un contenitore di idee ed espressioni, appare cauto nel suo aspetto esteriore proprio per la sua reperibilità ma cela una personalità profonda; E' simbolo di riflessione, dedizione e soddisfazione.
Come un lupo ulula dopo aver trovato nella luna un punto di luce nella notte scura, come il lupo solleva il suo canto alla cauta luce per segnalare la sua presenza ai suoi simili, così io mi affido ai libri per rischiarare le mie giornate grigie e per cercare di condividere con chiunque voglia i miei pensieri.

Veronica Moonhowler