martedì 11 luglio 2017

Gli spiriti non dimenticano.Il mistero di Cavallo Pazzo e la tragedia dei Sioux

Non è come nasci, ma come muori, che rivela a quale popolo tu appartieni – Alce Nero

Cosa diventa un saggio storico arricchito di esperienze personali e spirituali, di cenni agli usi di un popolo e ai loro gusti? Diventa un libro da avere necessariamente nella propria biblioteca. Questa è la prima definizione che sento di dare a “Gli spiriti non dimenticano”, il libro di Vittorio Zucconi uscito per la prima volta nel 1996 per la casa editrice Le Scie. Il talento giornalistico dell’autore, l'esperienza sul campo, la sua passione per la storia dei Nativi Americani e piccoli grandi presagi dagli spiriti, confluiscono in 308 godibilissime pagine di storia.

D’altronde non si potrebbe comprendere davvero la storia dei Sioux senza conoscere il senso di religione che ne è alla base. Ogni decisione, sia che riguardasse il cibo da consumare per pranzo sia quale tattica bellica usare, era calibrata su una forte spiritualità . Ogni azione dei Sioux era preceduta da una lunga “meditazione”, una cavalcata nelle estese praterie e sogni premonitori. Visioni precise nei minimi dettagli.
Gli eventi narrati iniziano con il trattato di Fort Laramie del 1851, primo accordo Lakota Sioux e Americani, in cui i primi concedevano  il passaggio dei loro pionieri “visi pallidi” sulla strada dell’Oregon in cambio di viveri , e finiscono alla resa nel 1876 dell’ultimo capo dei Lakota Sioux, Tashunka Uitko. Cavallo Pazzo. Gli eventi di un ventennio fatto di trattati e tattiche militari si snodano davanti ai nostri occhi in una prospettiva puntuale ed attendibile.
Allora cosa differenzia “Gli spiriti non dimenticano” da un comune trattato di storia americana?
L’eclettismo di Zucconi è la carta vincente di questo saggio: la precisione della cronaca storica è arricchita di approfondimenti di carattere antropologico. Siamo catapultati nelle grandi praterie del nord America, ci sembra di cavalcare al fianco di Tashunka Uitko durante la sua prima caccia al bisonte, osservandone le tempistiche, ammirando le tecniche che ha acquisito e affinato con l’esperienza di generazioni prima di lui; Seguiamo lui e le altre famiglie Lakota nei loro spostamenti stagionali alla ricerca di un clima più mite e di una fauna più ricca, per assolvere al primo dei compiti di un uomo Lakota, ovvero il benessere della sua famiglia; ci sediamo con Cavallo Pazzo attorno al fuoco del tipì, la tenda fatta di pelli, durante la cena a base di stufato di bisonte e nel frattempo spiamo il rituale di corteggiamento “sotto la coperta”  nei confronti della donna che amerà per sempre, Donna del bisonte Nero; lo seguiamo in silenzio durante le sue cavalcate nelle praterie, nei momenti di solitudine contemplativa alla ricerca di un messaggio del Grande Mistero. La forza di questo libro sta nel mescolare il rigore cronachistico all’umanità dei personaggi. Empatizziamo con loro, sentiamo anche noi di essere un po’ Lakota. O così vorremmo che fosse.

Abbiamo la possibilità di ricordare che la storia è fatta da persone, da culture diverse, non più o meno sviluppate. Solo diversamente affascinanti. Ci viene così più semplice capire come la guerra abbia una buona componente psicologica oltre che fisica, componente che ha permesso ai nativi di destreggiarsi a lungo tra il fuoco delle innovative armi da sparo dei bianchi .
“Erano poveri ragazzi terrorizzati, spesso giovanissimi, reclute di diciassette, diciotto anni, che guardavano in viso una morte orribile e persero la testa. Racconta Toro dal cuore cattivo: Lasciatelo andare, lasciatelo andare perché vada a raccontare ai bianchi quel che è successo qui oggi. Fermai il cavallo ma il soldato continuò a galoppare, si puntò la pistola alla tempia e si uccise”.
Chi ha l’immagine dei Nativi Americani come guerrieri dalle armi rudimentali e in netto svantaggio sbaglia: la loro forza d’animo e intelligenza bellica furono devastanti per i soldati americani.

Né i nativi né i soldati americani risultano idealizzati o demonizzati. Zucconi non prende le parti di nessuno, ma anzi riesce a trasmettere i motivi del perché entrambe le fazioni agissero in una maniera piuttosto che in un’altra, giustificandoli sapientemente con il differente contesto culturale a cui appartengono. L’azione bellica  è resa meno arida dai comportamenti archetipici, naturali e spontanei dei suoi protagonisti: rintracciamo così in Senz’Acqua una specie di bullo del quartiere, in Donna del Bisonte Nero la ragazza per cui tutti avevano una cotta al liceo, nel Generale Custer “capelli lunghi” un tipo in vista un po’ snob; In Cavallo Pazzo l’eroe che fingevamo di essere da bambini, un turbinio compatto di valore, coraggio e di giusta dose di sfrontatezza che normalmente si può rintracciare solo nei film.

Ma chi è stato davvero Tashunka Uitko? Zucconi ripercorre le fasi della sua vita da quando era “ solo “ Riccetto, un ragazzino Oglala sveglio e con tanta voglia di imparare, passando per un giovane cacciatore di bisonti, fino all’uomo investito dal Grande Spirito della missione di proteggere il suo popolo fino alla fine delle sue forze. Il coraggioso e carismatico Cavallo Pazzo cresce davanti ai nostri occhi acquisendo gradualmente le qualità di leader militare, spirituale e infine politico, senza venire meno la sua dose di riservatezza, timidezza e umiltà.
Sarebbe stato bello poterlo ammirare al galoppo sul suo cavallo baio sul sentiero di guerra, con un’unica penna di falco rosso tra i capelli al posto di quel copricapo coperto di piume impresso nell’immaginario collettivo. Tuttavia questo non ci sarà mai possibile: non abbiamo foto di Cavallo Pazzo, non se n’era mai lasciate scattare al contrario di altri capi Sioux.
“ Il dottor Gillcuddy (addetto alla sanità di Fort Robinson) e Cavallo Pazzo divennero amici […] e il medico chiese al capo guerriero il permesso di fotografarlo. Dottore, gli rispose l’indiano, perché vuole accorciarmi la vita rubando la mia ombra? L’ufficiale medico non insistette.”

Tashunka Witko rifiutò strenuamente di ritirarsi nelle riserve ed essere al servizio dei conquistadores americani. Rifiutò persino di fuggire in Canada con Toro Seduto. Quando capì di aver assolto alla sua missione, scese le colline con tutta la sua gente e si consegnò ai soldati americani. Proprio come annunciato dalla visione del Cavaliere del Tuono che ebbe da ragazzino, fu ucciso da uomini Lakota, amici d’infanzia ormai passati al servizio degli Stati Uniti. Non si conosce il luogo di sepoltura del suo corpo: solo sette uomini, di generazione in  generazione, tramandano questo grande segreto, ma questo non causa attriti ne remore. Come disse Alce Nero prima di morire nel 1939, “Neppure io so dov’è sepolto Cavallo Pazzo e non mi interessa saperlo. Il suo corpo è diventato erba della prateria e solo il suo spirito vive. Io voglio essere con il suo spirito, non con le sue ossa”.

La tragedia dei Sioux e il mistero di Cavallo Pazzo rivivono oggi nelle vividissime pagine di questo libro, in un immaginario comune più cosciente  e nel suono inaspettato di fischietto d’osso d’aquila … 

Link diretto alla video recensione: https://www.youtube.com/watch?v=uq4PpA9UkeI&t=10s

giovedì 29 giugno 2017

J.W. Goethe, I dolori del giovane Werther -Come Werther cambia la nostra concezione di “assoluto”

“Tutto, tutto è popolato di mille forze diverse; e gli uomini si riparano sicuri nelle loro casucce, credendo di dominare il vasto mondo! Povero pazzo, che giudichi finita ogni cosa perché sei piccolo!” 
( da "I dolori del giovane Werther")
 
 
Nessuno potrebbe essere immune al fascino di Werther. Nessuno, in nessun periodo storico o corrente culturale potrebbe ritenerlo troppo avventato o distante dalla propria personalità. Eppure Werther non incarna di certo i canoni di carisma tradizionali e la scelta di suicidarsi per amore appare estrema di fronte ad ogni razionalità. Ci sembra impossibile pensare che dopo il 1774, anno di uscita del I dolori del giovane Werther, il numero di suicidi stimato tra i lettori del romanzo è di circa duemila. Ci sembra impossibile, fino a quando non ci immergiamo nelle sue pagine. 
Sin dall’inizio il narratore pone di fronte al lettore un protagonista buono, quasi innocente, teneramente dipinto nei suoi sentimenti assoluti. Werther  è un sognatore, spesso tende all’irrazionale, animato dalla passione per la letteratura e per l’arte, per il bello estetico e caratteriale. Tira fuori il lato bohemien che giace in ognuno di noi e i sentimenti assoluti ci appaiono come gli unici possibili. Ci risulta simpatico e empatizziamo facilmente con lui. Werther appare pienamente in armonia con il piccolo paese dove conoscerà Albert e Lotte. Ma sullo sfondo naturale idillico, tra giochi con i bambini del posto e la letture di poesie, si insinua il rifiuto dei valori borghesi e delle convenzioni sociali. Tale rifiuto è incarnato dal confronto tra Werther e Albert, tra letterato e borghese, tra individuo e società. 
I temi dello Sturm und Drang ricorrono tutti. La natura è la forza primordiale del mondo, la letteratura la canalizzazione delle proprie pulsioni, ma è l’amore il valore supremo nella vita di Werther. L’amore che il protagonista cerca, quello immediato e non mediato, quello assoluto e impossibile, è incarnato da Lotte, con la quale Werther riscontra un’esclusiva affinità elettiva. L’amore è il fulcro attorno al quale ruota l’opera: la storia inizia con la nascita del sentimento e finisce con la sua sublimazione. L’amore è stimolo vitale e, pertanto, contraddistingue solo le persone vive: nel suo togliersi la vita, Werther rinuncia alle sofferenze che esso porta agli uomini per non dimenticarne la purezza, la liricità di cui la letteratura lo aveva convinto. 
Tuttavia il Werther non va ridotto solo a questo. La grandezza di Goethe è stata quella di riunire sotto un'unica storia tutti gli impulsi ideologici della generazione sturmeriana, evidenziandone l’impeto e lo slancio del modus operandi. 

Il cielo si incupisce e la natura perde i connotati di colorata e godibile Primavera. Nella seconda parte del romanzo, Werther è disilluso dalla società, dalla borghesia, dall’amore e da se stesso. Il pensiero del suicidio che cresceva dentro di lui si riversa nel paesaggio naturale che ora appare grigio, freddo, spento. La calma con cui si procura la pistola da Albert e saluta gli abitanti del villaggio, è coerente con l’idea positiva che abbiamo del protagonista: il giudicarlo troppo estremo è ormai lontano dalle nostre intenzioni; sentiamo di aver sperimentato con lui la tristezza, l’ingiustizia del mondo e la rassegnazione che ne deriva. E l’assolutezza dei suoi sentimenti e dei suoi gesti diventano la normalità, la necessità, mentre  sono quelli degli altri ad essere insignificanti. 
Alcuni elementi fanno pensare ad un romanzo autobiografico. La vicenda di un conoscente di Goethe,  Jerusalem, uomo chiuso e triste che si era innamorato della moglie di un suo amico, sembra fornire il modello plastico della narrazione. Jerusalem però si tolse la vita però soprattutto a causa della sua inadeguatezza sociale,proprio come Werther in fondo. Lotte è ispirata a Charlotte Buff, importante amore di Goethe. Non ci è difficile credere che l’autore abbia messo tanto della sua esperienza nel romanzo: il modo naturale in cui si rivolge a noi lettori, l’esattezza delle parole che usa per descrivere certi moti dell’animo e la capacità di incastrare riferimenti e citazioni nella sequenza narrativa , ci fanno sentire coinvolti dalla vicenda come se fosse un nostro amico a raccontarcela. Un amico che si sfoga, cercando di allontanarsi dai suoi sentimenti, di razionalizzarli, prima di rimanere lui stesso vittima dell’irrazionale.  

domenica 21 maggio 2017

La Domenica non è fatta per uscire di casa


Continuo a rimanere dell’idea che la Domenica non sia fatta per uscire di casa.Bisogna lasciarla scorrere con tutta la pigrizia,la mollezza del corpo e la tristezza della mente. Chiede solo di essere libera di far trasparire sogni e nolstagia di posti mai visti,di conoscenze mai evolutesi in amicizie, di tramonti mai condivisi con l’unica persona che ci farebbe dimenticare la cena.Perchè le giornate vuote sono scandite da questo:nutrimento e malinconia a base di poesie che vorremmo dedicare,che vorremmo vivere.

La domenica non è fatta per uscire,perché dobbiamo concedere a noi stessi il tempo per riflettere su ciò che vogliamo davvero.E ciò a cui veramente ambiamo non tocca la riva della nostra consapevolezza, se non in un momento di quiete e di riflessione.Di solito si rifugia nel profondo dell’oceano della nostra anima.Di domenica dialoga con noi,seduti insieme sul bagnasciuga: capiamo così di avere ancora tanto da raggiungere e che,forse,il resto della settimana è solo una salvifica illusione creata per non farci affondare con i nostri desideri.

mercoledì 1 marzo 2017

Edda Poetica:un po' di storia e presentazione video


UN PO’ DI STORIA

Quella che noi oggi chiamiamo Edda poetica è un insieme di poemi di carattere mitologico composta tra il IX e l’XI d.C ma redatta solo nel XIII.Fu trovata nel 1643  dall'erudito Brynjólfur Sveinsson (1605-1675), vescovo nella diocesi di Skálholt, in Islanda.Sveinsson inoltre la riconobbe come serbatoio di conoscenza mitologica di Snorri Sturluson,autore dell’Edda in prosa del XIII secolo.Questa informazioni ci porta dunque alla prima distinzione:Edda poetica,in norreno Ljóða Edda ed Edda in prosa o,più correttamente, Eldri Edda (edda antica) l’Edda moderna /mettendo un attimo da perte l’edda minore.L’Edda in prosa o moderna ovvero quella di Snorri Sturluson era manuale per diventare poeti ma racchiude anche molte nozioni di carattere mitologico che al tempo erano ritenute essenziali per la cultura di ogni poeta.Ebbene,Snorri attinse gran parte di queste conoscenze proprio dall’Edda poetica trovata dal nostro Sveinsson,che le diede per questo nome “Edda” per creare il collegamento con l’Edda di Snorri e ne individuò l’epigrafista nel dotto prete Sæmundr Sigfússon ma oggi questa ipotesi non è più accettata perché si è ricostruita una differente datazione tra il dotto e il manoscritto. Sveinsson donò questo codice al re di Danimarca dove fu conservato a lungo e dove prese il nome di Codex Regius e solo nel 1971 fu restituito all’Islanda.

L’origine della parola Edda non è ancora chiara e tutte le varie ipotesi hanno un carattere molto tecnico quindi mi risparmierò dall’elencarle  ma rimando al sito di cui vi lascerò il link qui sotto per chiunque volesse approfondire: http://bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-1.Voluspa.html


Individuarne una datazione precisa non è facile perché il fatto che siano state tramandate senza il nome dell’autore ci può far pensare che fossero raccontate da tempi molto più remoti oralmente e che furono riunite successivamente solo attorno al IX secolo.Il linguaggio è molto semplice a differenza della successiva poesia scaldica che presenta un linguaggio dalle caratteristiche opposte.

Anche indicarne la provenienza non è semplice. Abbiamo detto che questi racconti sono state scritti e ritrovati in Islanda ma il materiale di riferimento non è islandese.Infatti molte vicende sono ambientate in posti con betulle,abeti,querce o cervi,orsi e lupi che prevedevano un clima continentale e quindi diverso da quello islandese.Molto probabilmente nacquero in Norvegia.

Lo stile è molto vario: si alternano dialoghi e monologhi, lamenti, canzoni, carmi, discorsi, profezie, insulti.

Al di là delle peculiarità tecniche e stilistiche, possiamo notare come siano evidenti le influenze che ebbe l’edda su tutta la letteratura germanica successiva.I filologi dibattono ancora oggi sulla datazione,la provenienza e delle influenze tra Edda e letteratura cristiana.



STRUTTURA DEI MIEI VIDEO LETTURA

Questa era la distinzione tra Edda poetica ed Edda in prosa (escludendo l’edda minore,poemi non attestati dal Codex Regius) e io vorrei concentrare questa serie di video sulla lettura dell’Edda poetica per conoscere in maniera più diretta e d’impatto la mitologia norrena.L’edda poetica si divide in 29 poemi,l’Edda Mitologica (GOÐMÁLUGR EDDA) dal primo al decimo e l’Edda eroica (HALIGR EDDA) dall’undicesimo al ventinovesimo.Leggerò la traduzione di Bjǫrn Vargsson (Daniele Pisano) che ha tradotto l’edda poetica dal norreno per farla circolare liberamente su internet in maniera assolutamente gratuita e libera.Ho scelto questa traduzione sia per rendere onore al merito di Pisano sia perché come egli stesso afferma,ha cercato di rispettare il più possibile la sintassi e la semantica del norreno antico ma anche di rendere la traduzione in un italiano moderno e fluido.Infatti credo che sia il giusto strumento per iniziare ad approcciarsi al contenuto del testo.
Questo mio lavoro nasce per la volontà di raccogliere e di riflettere sul materiale culturale norreno e nordico,per cercare di sviscerarlo, approfondirlo, confrontarlo e divulgarlo.

Puoi trovare i miei video clickando qui : https://www.youtube.com/channel/UCBqsKLY0S2ObAWrVH3n3SMg

lunedì 13 febbraio 2017

Ognuno deve delineare il proprio cammino personale -"Davanti alla legge",Il processo,Franz Kafka

Dal capitolo IX,"Il processo"

"Davanti alla legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla legge. Ma il guardiano gli risponde che per il momento non glielo può consentire.
L’uomo dopo aver riflettuto chiede se più tardi gli sarà possibile. «Può darsi,» dice il guardiano, «ma adesso no». Poiché la porta di ingresso alla legge è aperta come sempre e il guardiano si scosta un po’, l’uomo si china per dare, dalla porta, un’occhiata nell’interno.
Il guardiano, vedendolo, si mette a ridere, poi dice: «Se ti attira tanto, prova a entrare ad onta del mio divieto. Ma bada: io sono potente. E sono solo l’ultimo dei guardiani. All’ingresso di ogni sala stanno dei guardiani, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo riesce insopportabile anche a me.»
L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, nel suo pensiero, dovrebbe esser sempre accessibile a tutti; ma ora, osservando più attentamente il guardiano chiuso nella sua pelliccia, il suo gran naso a becco, la lunga e sottile barba nera all’uso tartaro decide che gli conviene attendere finché otterrà il permesso.
Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere a lato della porta. Giorni e anni rimane seduto lì. Diverse volte tenta di esser lasciato entrare, e stanca il guardiano con le sue preghiere. Il guardiano sovente lo sottopone a brevi interrogatori, gli chiede della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande fatte con distacco, alla maniera dei gran signori, e alla fine conclude sempre dicendogli che non può consentirgli l’ingresso.
L’uomo, che si è messo in viaggio ben equipaggiato, dà fondo ad ogni suo avere, per quanto prezioso possa essere, pur di corrompere il guardiano, e questi accetta bensì ogni cosa, però gli dice: «Lo accetto solo perché tu non creda di aver trascurato qualcosa.»
Durante tutti quegli anni l’uomo osserva il guardiano quasi incessantemente; dimentica che ve ne sono degli altri, quel primo gli appare l’unico ostacolo al suo accesso alla legge. Impreca alla propria sfortuna, nei primi anni senza riguardi e a voce alta, poi, man mano che invecchia, limitandosi a borbottare tra sè.
Rimbambisce, e poiché, studiando per tanti anni il guardiano, ha individuato anche una pulce nel collo della sua pelliccia, prega anche la pulce di intercedere presso il guardiano perché cambi idea.
Alla fine gli s’affievolisce il lume degli occhi, e non sa se è perché tutto gli si fa buio intorno, o se siano i suoi occhi a tradirlo. Ma ora, nella tenebra, avverte un bagliore che scaturisce inestinguibile dalla porta della legge.
Non gli rimane più molto da vivere. Prima della morte tutte le nozioni raccolte in quel lungo tempo gli si concentrano nel capo in una domanda che non ha mai posta al guardiano; e gli fa cenno, poiché la rigidità che vince il suo corpo non gli permette più di alzarsi. Il guardiano deve abbassarsi grandemente fino a lui, dato che la differenza delle stature si è modificata a svantaggio dell’uomo.
«Che cosa vuoi sapere ancora?» domanda il guardiano, «sei proprio insaziabile.» «Tutti si sforzano di arrivare alla legge,» dice l’uomo, «e come mai allora nessuno in tanti anni, all’infuori di me, ha chiesto di entrare?»
Il guardiano si accorge che l’uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne, gli urla: «Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. E adesso vado e la chiudo.» "


Ognuno di noi deve delineare il proprio cammino personale.Non c'è una porta unica,non c'è una via ugualmente valida attraverso cui tutti possono indistintamente trovare e compiere il loro percorso.
Il professore di letteratura tedesca oggi ha proposto questa parabola estrapolata da "Il processo" di Kafka.Ha sostituito la "legge" con la "letteratura" per illustrare come lui stesso,paragonandosi al guardiano della parabola,sia in realtà "solo" un'istituzione e pertanto il suo compito è quello di darci un canovaccio di regole da seguire per l'approccio alla materia.Tuttavia non può fornirci un copione dettagliato su come affrontarne lo studio,non può (e non deve) sostituirsi a noi studenti nella costruzione della nostra esperienza sui testi.Ho trovato originale il modo in cui il professore ci abbia fornito un concetto di carattere metodologico e mi è sembrato uno spunto interessante per riflettere ancora una volta sulla nostra responsabilità di sviluppare coscienza critica,coraggio e curiosità di allungare il nostro sguardo anche oltre le barriere abituali,non solo nell'ambito dello studio.
Questo naturalmente è solo uno dei punti di vista tramite il quale analizzare "Il processo".

domenica 5 febbraio 2017

Oscars 2017 in pillole:Animali notturni,Passengers e Florence || Recensione no spoiler


Gli Academy Awards si avvicinano e aspettando l’uscita di alcuni dei film candidati per la categoria “miglior film” ho dato un’occhiata ad altri concorrenti. In questa recensione ho pensato di parlare ,o meglio, di citare tre film che non rientrano tra i protagonisti di quest’anno ma in cui ho trovato comunque qualche elemento di spicco.Mi riferisco a Animali Notturni,Passangers e Florence.



Michael Shannon di Animali Notturni (Nocturnal Animals)di Tom Ford rientra tra i candidati della categoria “miglior attore non protagonista”. E’ un film drammatico che vede per protagonista una gallerista (Amy Adams per poco non rientrata tra le candidate all’oscar come miglior attrice protagonista) che riceve un romanzo thriller scritto dall’ex marito (Jake Gyllenhaal) e in cui ,presa dalla sua lettura,riesce a rispecchiarsi.Infatti si proietta in quella che sarebbe stata la sua famiglia se non avesse divorziato dal marito con un finale tutt’altro che scontato.Ho apprezzato la scelta del “racconto nel racconto” e il modo in cui è stato realizzato.Il piano narrativo della realtà del film e quello della storia del romanzo percorrano due linee parallele e si ricongiungono nel finale in maniera armonica.Un bel gioco di intreccio.



Passengers narra di uno scenario futuristico in cui gli uomini hanno la possibilità di essere ibernati ed iniziare una nuova vita su un altro pianeta.Il viaggio tra la Terra e il pianeta “colonia” (come viene definito nel film) dura ben centoventi anni ma Jim (Chris Pratt) si sveglia novanta anni prima dell’arrivo e senza alcuna possibilità di comunicare con la Terra.Infatti lo scontro con un meteorite ha danneggiato la nave stellare su cui viaggiano i passeggeri e sarà compito di Jim e Aurora (Jennifer Lawrence) evitare il peggio. Passengers ha ricevuto la nomination agli Academy Awards per miglior colonna sonora,tuttavia sono altri gli aspetti che mi hanno colpita. Il film riesce a suscitare un grande senso d’ansia.L’idea di essere intrappolati su una nave spaziale per il resto della propria vita non è la prospettiva più rosea ma rende bene il messaggio di fondo del film: noi esseri umani siamo solo di passaggio in questa vita.Oltre questa idea di base ho apprezzato l’evoluzione del protagonista dall’agire per il proprio bene all’agire per un bene più grande. Davvero intensa anche anche la recitazione di Pratt e della Lawrence.



Infine vorrei parlare di Florence ( Showtime for Florence Foster Jenkins).Narra la storia vera di Florence Foster Jenkins (Meryl Streep),ereditiera newyorkese che sogna di diventare una  cantante lirica sebbene abbia scarse doti canore.Tuttavia riesce a realizzare il suo sogno e ad esibirsi alla Carnegie Hall grazie a suo marito (Hugh Grant) e al suo pianista (Simon Helberg) e passerà alla storia per essere la cantante peggiore mai esistita.Tutta la commedia ruota intorno alla realtà finta che il marito di Florence si impegna a creare affinchè nessuno possa mettere la donna di fronte alla scomoda verità (mi ha ricordato molto l’impostazione di “Good Bye,Lenin” anche se in prospettive storiche e culturali totalmente differenti).E’ un mondo fittizio,l’unico in cui la protagonista sembra poter vivere e trovare la sicurezza di esprimersi.In realtà è proprio quando questo mondo crolla che Florence dimostra più forza di tutti gli altri :La gente può dire che non so cantare, ma nessuno potrà mai dire che non ho cantato”. Maryl Streep è stata candidata come miglior attrice protagonista per questa interpretazione eccellente (Meryl non delude mai): spontanea,brillante e divertente. Vincente anche l’interpretazione di Hugh Grant creando così un personaggio dalle mille sfaccettature. Interessante anche la performance di Helberg(conosciuto anche come Howard Wolowitz nella serie The big bang theory) nei panni del delicato pianista McMoon che rappresenta un po’ la visione di noi spettatori ,sprovveduto e divertito quando si trova di fronte alla tragi-comica situazione raccontata e la nostra percezione della vicenda cambia insieme alla sua.E’ una commedia originale punteggiata di dolcezza e che sa come tenerci compagnai per due ore.




Non so ancora se tifare per questi film nelle rispettive categorie in cui sono stati nominati,come ho detto secondo me hanno spiccato quasi più per altre caratteristiche.Tuttavia credo valga la pena vederli per completare lo scenario delle nominations agli Academy Awards 2017.

Puoi vedere la recensione di questo video sul mio canale YouTube : https://www.youtube.com/watch?v=PMfBCqRHg14&t=13s


domenica 29 gennaio 2017

Film "La La Land" - Recensione


Sono rientrata a casa verso l’una di notte dopo aver visto La la Land ma non ho potuto fare a meno di prendere il computer e buttare giù il turbinio di emozioni che mi aveva lasciato.Il nucleo della storia riguarda l’amore tra Mia (Emma Stone) e Sebastian (Ryan Gosling) a cui si intrecciano le loro passioni e ambizioni.Mia sogna di diventare un’attrice mentre Sebastian coltiva con spirito conservatore la sua passione per la musica Jazz.Se all’inizio è proprio la loro creatività e la loro predisposizione per l’arte ad avvicinarli e a farli innamorare,successivamente è proprio l’inseguimento dei loro sogni che li allontanerà.

E’ un film accattivante,coinvolgente.Con i suoi colori accesi,i passi di danza,i dettagli vintage e le musiche alza la pressione sanguigna dello spettatore e ci si sente quasi un personaggio della storia.Era da tempo che non vedevo un musical così: le canzoni non sono nè troppe nè troppo poche e soprattutto né tolgono e né aggiungono troppo alla storia: è vero,sostituiscono in musica dei dialoghi o dei monologhi importanti,caratterizzano la scena,vividifcano le emozioni ma non censurano mai le parole né creano ridondanze eccessive nel discorso.

Sembra di essere catapultati negli anni ’50, certo,lo scenario è chiaramente moderno :il traffico stradale non manca,le feste in piscina stile Los Angeles sono spesso rappresentate e qua e là spunta la suoneria di un i-phone ,proprio per trafiggere la patina vintage e riportarci alla realtà.I vestiti,i passi di danza,gli edifici e le insegne pubblicitarie non possono che ricordarci lo stile dell’epoca ma ben amalgamato e attualizzato con lo stile di vita contemporaneo.La patina anni ’50 così come le musiche,viene fuori soprattutto nei momenti di massima intensità e felicità e conferma l’idea di musical come espressione esagerata delle emozioni.

Ho apprezzato moltissimo la realizzazione dei momenti più “interiori” dei personaggi: quando le luci attorno al personaggio si attenuano e tutto si fa scuro mentre un occhio di bue lo illumina,sappiamo che la storia si sta concentrando sull’interiorità di un personaggio ed entriamo nella sua testa,nel suo cuore.

Sapiente l’uso del long take e dei piani sequenza per creare una visione a 360 gradi di questo bellissimo mondo alternativo,ci sembra di trovarci nel film e di girare la testa per vedere cosa ci succede intorno.Questo a mio avviso permette anche di liberare la narrazione dal rischio di cadere sul sentimentale,cosa che sarebbe avvenuta forse con un uso più massiccio di primi piani o di frammentazione del piano d’azione. E’ un mondo colorato,onirico,espressionistico e a tratti surreale ma in discendenza,fino a risalire per un ultimo estremo momento finale fatto di sole immagini,musica e movimenti dei personaggi (il momento più intenso di tutto il film), prima del crollo definitivo di ogni vivacità e di ogni entusiasmo.

Non sono previsti sentimenti moderati: si passa dall’allegria alla speranza, dalla speranza al magone, dall’illusione alla disillusione nel giro di pochi secondi grazie al perfetto uso delle musiche.

La colonna sonora che viene ripresa durante tutto il film e che simboleggia la storia d’amore dei due protagonisti ci suscita emozioni opposte dalla prima volta che la sentiamo fino all’ultima,il suo sapore e il suo significato si modifica con gli avvenimenti e ci sembra di scoprirne una sfaccettatura diversa ogni volta.

Anche la recitazione era impeccabile.Emma Stone ha davvero dimostrato tutto il suo talento e la sua ottima mimica facciale grazie ai primi piani che ne evidenziavano le transizioni espressive. Ryan Gosling è risultato efficace nel ruolo del romantico pianista caricando le scene in cui suona con una grinta pacata da un lato e dall’altra con una passione esplosiva che conquista .

Le candidature all’oscar dimostrano che il film è di un livello elevato e che colpisce dritto al cuore.Sono quattordici quest’anno le candidature che ha ottenuto,numero pari solo alle candidature di Titanic e di “va contro Eva: Miglior film,miglior regia,miglior attrice protagonista,miglior attore protagonista,miglior sceneggiatura originale,miglior montaggio,miglior fotografia,miglior scenografie,miglior costume,miglior colonna sonora originale,miglior canzone (per Audition e City of stars), Miglior Sonoro e Miglior Montaggio Sonoro.

Emozionante e travolgente.Un'altra meraviglia cinematografica candidata agli Oscar 2017.

Se ti va puoi passare anche a dare un'occhiata alla mia recensione di La La Land su YouTube : https://youtu.be/PQpGPB-D8xg

sabato 21 gennaio 2017

Film : "Collateral Beauty"




Howard Inlet (Will Smith) ha perso la figlia a causa di un tumore e con lei sembra aver perso anche il suo carisma e la sua grinta sia nella vita privata sia sul lavoro.Evita di parlare quando ne ha l’occasione,di impegnarsi nel suo lavoro e riesce a sfogare la sua rabbia solo correndo in bicicletta per le strade di New York.Gli amici e colleghi di Howard Whit (Michael Norton),Claire (Kate Winslet) e Simon (Michael Peña) dopo due anni di sforzi per risollevare la situazione si vedono costretti ad allontanare Howard dall’azienda ma hanno bisogno di dimostrare la sua mancanza di stabilità mentale per riuscirci.A malincuore per ottenere queste prove,assumono un’investigatrice privata. La donna recupera dalla cassetta della posta tre lettere scritte dal protagonista che ha indirizzato a morte,tempo e amore.

With,Claire e Simon decidono di assumer tre attori per interpretare morte,tempo e amore e per palesarsi ad Howard in un estremo tentativo di farlo sfogare ma soprattutto di poter testimoniare la sua instabilità emotiva.Infatti i tre attori saranno cancellati tramite effetti speciali nel video che verrà trasmesso alla riunione aziendale organizzata per decretare dell’allontanamento definitivo di Howard. Whit,Claire e Simon stringono i rapporti con i tre attori in base al ruolo che interpretano,sorprendentemente in piena corrispondenza con le loro necessità: Whit passa molto tempo con Amy (Keira Knightley) che lo spinge a mettere da parte le ricchezze economiche e riconquistare l’affetto della figlia Alyson semplicemente dimostrandole amore; Claire,che ha dedicato la sua vita al suo lavoro,sente di essere terribilmente in ritardo per mettere su una famiglia e decide di realizzare il suo sogno grazie all’aiuto medico.Il giovane Raffi (Jacob Letimore) sconvolgerà la sua nozione di tempo dimostrandole come in realtà sia solo “un’ostinata persistente illusione”; Simon confida a Brigitte ( Helen Mirren) di aver perso la sua battaglia contro il tumore e l’attrice lo sprona a non temere il confronto con i suoi familiari affinchè possano prepararsi alla sua morte.Solo nell’epilogo si lascerà intendere che Amy,Raffi e Brigitte non sono attori ma sono le essenze stesse di amore,tempo e morte.Si torna così indietro nel film e si collocano dei tasselli mancanti nella narrazione,si reinterpretano frasi e parole chiave pronunciate dai tre “attori” apparentemente insignificanti e si coglie il sistema generale della storia.

Se dovessi riassumere il film in una parole sceglierei: connessioni. Ogni incontro è connesso al successivo così come ogni avvenimento trova le sue conseguenze nel mondo. Una sorta di “effetto farfalla”: ogni minima alterazione di un sistema può portare a cambiamenti universali.Infatti i protagonisti riusciranno a dare un respiro nuovo alla loro situazione semplicemente mutando atteggiamento nei confronti dei loro problemi: Whit parla a cuore aperto alla figlia Alyson che decide di concedergli una passeggiata nel parco mentre ridono raccontandosi barzellette; Claire rinuncia all’aiuto medico per diventare madre e concede tempo al tempo;Simon purtroppo non ha speranzae di vita ma può contare sulla vicinanza della sua famiglia.Infine Howard riuscirà a parlare dopo due anni della morte della figlia e di recuperare il rapporto con la moglie.Distogliere lo sguardo dal problema che lo oscura ci permette di cogliere la bellezza che ne risiede ai lati.La bellezza collaterale.

Non sono assolutamente un’esperta di cinema ma personalmente il film mi è piaciuto.Ho sentito critiche a riguardo ma credo siano dovute alla scelta di racchiudere nella storia tante tematiche diverse che possono sembrare confusamente sommate tra di loro.In realtà credo che siano state distribuite bene e che abbiano pienamente assunto alla loro funzione di caratterizzazione delle storie di ogni personaggio.Il mio voto al film è sicuramente positivo.

Da oggi c'è una novità...le mie recensioni saranno anche su you tube :)
Link diretto alla video recensione : https://www.youtube.com/watch?v=j72G-g_zGGE


domenica 8 gennaio 2017

"Harry Potter e la maledizione dell'erede" - J.K.Rowling,J.Tiffany,J.Thorne


L’Ottava storia
Diciannove anni dopo…



Albus Severus Potter è il figlio di Harry Potter,il mago diventato  famoso e stimato per aver distrutto Voldemort e per aver salvato il mondo della magia da un dominio oscuro e di disperazione totale.Come ci si può immaginare le aspettative su Albus sono alte e spesso opprimenti.Inizia a frequentare Hogwarts ma,a differenza degli altri componenti della sua famiglia, non viene smistato in Grifondoro bensì nella casata dei Serpeverde dove ha modo di consolidare la sua amicizia con Scorpius Malfoy,figlio di Draco Malfoy ,che come tutti sappiamo, si mostrava ostile verso Harry durante l’adolescenza.Quando la voglia di Albus di mantenere alte tali aspettative ,unita alla fase di ribellione tipica dell’adolescenza ,incontra un’allettante giratempo,una nobile causa e dei complici particolari,non può che avere inizio una serie interminabile di avventure ,dapprima eccitanti poi pericolose.L’epilogo sarà dei più lieti e conserverà la stessa sostanza,lo stesso cuore pulsante di tutta la trama di Harry Potter: la forza dell’amore.



In effetti sembra che l’amore sia l’unico contenuto che la Rowling abbia conservato “nell’ottava storia” della saga.L’edizione italiana è uscita nel nostro paese ormai il 24 Settembre 2016, basata sullo spettacolo teatrale londinese ( con titolo originale “Harry Potter and the cursed child”,messo in scena al Palace Theatre di Londra) ma il dibattito sulla sua validità non si è ancora affievolito, causato da presunte discrepanze nella trama,nei personaggi e nell’ universo di Harry Potter in generale.Infatti una buona parte dei lettori che non ha apprezzato questo nuovo lavoro, insiste sul fatto che i personaggi sembrino cambiati,trattati con una certa superficialità e carenti delle particolarità che li avevano caratterizzati nei libri precedenti; la questione della mitica giratempo appare una forzatura perché da subito viene presentato come un oggetto raro,anzi,ormai inesistente mentre pare che ne continuino a sbucare modelli qua e là senza criterio solo per sbloccare situazioni intricate;le ambientazioni non hanno  spessore e gli avvenimenti sono carenti di originalità.Il tutto naturalmente condito dall’accusa alla nostra J.K.Rowling di averlo pubblicato solo per un guadagno monetario.

Leggendolo ho potuto capire cosa avesse suscitato questi punti di vista ma il mio parere è cambiato immediatamente.



Ho divorato questo libro in pochi giorni sia per il fatto che fosse scritto come un copione teatrale sia perché la narrazione mi ha totalmente catturata.Ci sono state naturalmente scene che avrei voluto vedere realizzate in maniera più approfondita:ad esempio le scene 5,6,7 del terzo atto in cui Scorpius Malfoy,tornato indietro nel tempo, chiede a Piton, Hermione e Ron aiuto, non senza sforzo,per ricongiungersi ad Albus Potter. Tuttavia credo sia dovuto proprio al modo in cui è scritto: non è un romanzo ma un copione e quindi non si cerca di dipingere in maniera più completa possibile un’ambientazione o un personaggio tramite descrizioni ma si richiede,certamente con uno sforzo di immaginazione maggiore, di arricchire il piano d’azione. E’ stato un piacevole tuffo in una Hogwarts del passato dove incontrare personaggi già conosciuti ma in un contesto ancora una volta diverso,surreale e apocalittico.Di “esplorazioni” in dimensioni parallele ce ne sono molte nella storia e ciò permette di dare dinamicità e varietà alla narrazione pur mantenendo scenari noti. Forma del testo e ricontestualizzazione degli elementi sono le differenze sostanziali rispetto ai sette libri della saga di Harry Potter che li rende imparagonabili.



Non nascondo di aver apprezzato il ruolo della giratempo, oggetto simbolo tra i principali della saga che mi aveva molto affascinata già ai tempi di “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” e mi è piaciuto anche il fatto che fosse restato sotto la tutela di Hermione, mantenendone così il contatto già testato tra l’oggetto e il personaggio.Questo però non dev’essere un modo per paragonare “La maledizione dell’erede” a “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” tentando di demolirne l’originalità.Di nuovo, se ne riprende l’oggetto e se ne conserva la funzione ma in un contesto differente e con sottili modifiche tutt’altro che banali.Ne garantisce da una parte l’autenticità e dall’altra l’originalità.



Nonostante Albus sia il protagonista della storia,inserito perfettamente anche nel rapporto conflittuale con il padre, ho adorato il ruolo di Scorpius che spesso fa pensare ad un angioletto sulla spalla del personaggio principale, in piena antitesi a Delphi che prendeva invece le sembianze del  diavoletto sulla spalla opposta.Queste impressioni trovano la loro realizzazione,prima dello snodo finale della vicenda, con la rivelazione della vera natura di Delphi ed è un colpo di scena che non dispiace affatto.E’ un personaggio chiave,è la figlia di Voldemort che vuole portare avanti il progetto del padre fondamentalmente per guadagnare la sua stima allo stesso modo in cui Albus e Draco volevano guadagnare la stima dei loro.Il passaggio generazionale è avvenuto in maniera coerente ma brillante, dove vecchi e nuovi problemi ritornano ma da un punto di vista diverso.Così facendo non si rischia di deturpare la storia precedente né di ricalcarla in maniera troppo marcata.

Ho adorato le scene 5 e 6 dell’atto quarto in cui Albus riesce a mandare un segnale ai genitori mediante la vecchia coperta di Harry,”contrassegnandola” già nel passato in modo che si rifletta nel futuro:ha subito evocato il modo di ragionare di Harry,la sua logica e il sapore della sequenza è tipicamente “potteriana”. Ho trovato Hermione,Ginny,Ron e Draco abbastanza coerenti con i personaggi descritti dalla Rowling anni fa,magari con qualche carattere accentuato e con qualcun altro smorzato ma è pienamente comprensibile se si pensa che sono cresciuti,diventati adulti.Tutti cambiano con l’età e così anche Harry Potter stesso.Forse è stato il personaggio più criticato in assoluto: spesso additato come presuntuoso,impulsivo,privo di idee,impaurito o semplicemente tendente al grigio, senza lo smalto che traspariva dalle sue avventure da ragazzo.Bisogna però tenere a mente che ,oltre la solita crescita durante gli anni e la scelta di scrivere solo tramite dialoghi, Harry non è più il protagonista della storia e diventa impossibile attribuirgli tutte le sfumature che ha guadagnato nel corso dei sette libri a lui dedicati.Sono stati messi in risalto,come è giusto che sia, solo gli aspetti funzionali alla storia attuale. Personaggi diversi ma collegati tra loro,avventure nuove ma simili,pulsioni apparentemente contrastanti ma animate dagli stessi valori: è questo il segreto di “Harry Potter e la maledizione dell’erede”,è questa la raffinatezza che caratterizza il passaggio generazionale e che rende l’attinenza con il mondo della saga precedente tutt’altro che banale o forzata.

Attinenza con il mondo della saga, non con la saga di per sé.
L’unico appunto che potrei fare è sul titolo.Forse la scelta di ricalcare il titolo di tutti gli altri romanzi (“Harry Potter e…”) ha innalzato le aspettative e lo ha designato come un ulteriore romanzo di una serie in realtà già conclusa.Per questo si sono scatenate polemiche e critiche,tra cui quella logica della trovata commerciale per ottimizzare gli incassi.In realtà credo che questa storia vada presa come una storia a parte,connessa ma diversa e che non si inserisce nell’eptalogia di Harry Potter ma,viceversa, l’accompagna.